Si chiama Cinzia, ma nel suo nickname ha aggiunto “donna”.
Non le ho chiesto perché, avrà avuto le sue ragioni.
Ma credo che sia davvero un prefisso opportuno.
Si, perché non si potrebbe immaginare che una donna possa aver fatto, e
possa fare, così tanto.
L’entusiasmo non ha preferenze di sesso, la passione neppure, le capacità organizzative e la
meticolosità forse sono più doti femminili, come l’instancabilità, ma la forza fisica, l’energia, il coraggio solitamente sono
doni profusi (o, forse, solo maggiormente sfruttati ?) con più generosità al sesso maschile, il sesso “forte”, infatti.
Ma quando la forza motrice deriva dal cuore, in certi esseri, non conosce limiti.
Dalle vetrate della bellissima casa lo sguardo rotola giù e ancora più in basso, posandosi su un terrazzamento e poi
su quello inferiore, e poi ancora e ancora, saltando il sentiero a tornanti che sfida il dislivello del ripido pendio.
Nelle curve
sulla destra, rivolte ad Est, la stalla superiore, poi, sotto, il fienile, poi, in fondo, la stalla inferiore.
Attraverso i recinti, i
cancelletti, i passaggi a misura di asino, e quelli a misura di capra, o di oca, il percorso conduce ai pascoli: il prato, il campo
per la coltivazione delle ortiche, il bosco da sfoltire, la radura per la soma, il “giardino degli umani”.
Un ritornello mi ronza
in testa: “Di chi sono queste terre? Sono della marchesa DonnaCinzia!”, parafrasando “il Gatto con gli stivali”.
Come una zavorra i pensieri pratici mi impediscono di liberare l’entusiasmo.
Forse perché non ho l’atteggiamento
del visitatore, di colui che, con la certezza del ritorno alla propria casa, alla propria città, alla propria vita, per un attimo si
rappacifica con sé e col mondo davanti ad un quadro di vita bucolica che si credeva dimenticata, ma della quale permane
una sorta di nostalgia.
Il mio sguardo non cede alla poesia, ma è scientifico e analitico: osservare, acquisire dati, fare
valutazioni.
Senza troppo sentimentalismo.
Come rifornire le stalle del fieno, in inverno, quando il sentiero a tornanti del pendio è solo intuibile sotto alla neve
gelata? “ho messo questa teleferica” risponde DonnaCinzia.
Giusto, la teleferica, eccola lì.
Ma… “Va a motore? Come la
alimenti? Ma stai in alto o devi andare giù in fondo per azionarla? E come fai a caricare il fieno? Sai fare bene i nodi? Lo
leghi bene? Ma… non ti gelano le mani? E… fai tutto da sola?” “Si” è la sua breve risposta.
“E il fieno? Lo comperi o lo tagli tu?” “entrambe le cose.
Quando lo compero mi portano un camion di ballette fino
al parcheggio, su in paese, poi con il mio trattore faccio un po’ di viaggi e lo porto fino a casa.” “Guidi tu il trattore?” “per
forza.” Mi risponde, e continua: “quest’anno ho tagliato novemila mq di prato, ma prima che riuscissi a ritirare il fieno è
venuto un temporale e il fieno è marcito.
Ho lavorato per niente e ora dovrò comperarne di più.”
I recinti, centinaia di metri di recinti! “ma, i pali, li sai infiggere tu?” “si, uso la coclea, qua non ci sono sassi, non
si fa fatica.
Poi tiro le reti”.
“In questo pascolo itinerante hai usato la fettuccia elettrica, anch’io la uso, ma poi l’erba e gli arbusti crescono e
toccano il filo, e la batteria si scarica…” brontolo io.
“Beh, certo, ogni tanto (…ossia poco, penso io) devo fare tutto il giro e
tagliare o strappare l’erba che è diventata troppo alta.”
Con un ampio gesto del braccio Cinzia mi indica un fitto bosco: “vedi quel bosco? Devo tagliare le piante, mi serve
la legna per l’inverno e mi serve che il terreno diventi prato.
Quello invece l’ho già tagliato.
Gli alberi non troppo grandi li
taglio io, per quelli grossi chiamo i boscaioli”.
E mi indica una radura con ancora qualche tronco a terra.
“Ho letto sul sito (www.raglio.com naturalmente!) che hai scritto che non è vero che gli asini non mangiano le
ortiche, come sosteneva qualcuno, tu dici che le mangiano, ma solo in un determinato periodo.
Sai che ho notato che è
vero?” Allora DonnaCinzia si permette un commento, che altro non è se non una constatazione critica: “certo che le
mangiano.
Come si può pensare di no? basta osservarli! forse tanti asinari non trascorrono molto del loro tempo con i propri
asini”.
Allora io ribatto che non tutti gli asinari lo sono “ a tempo pieno” e inoltre aggiungo che alcuni asini, pur amati ed
osservati, non hanno a disposizione tutto quel “ben di Dio” e magari brucano il prato inglese sul bordo piscina (e sorrido,
pensando all’abbronzata Lolita dell’amico Cacaone).
Cinzia non si turba per la mia spontanea protesta e prosegue “Vedi
quello? Forse non sta bene vicino alla casa, non è bello, ma è il campo ove coltivo le ortiche.
Per gli asini.”
Cambio discorso: “e questo cancello tutto sbilenco?” “l’ho modificato per permettere alle capre di passare anche
quando è chiuso per gli asini”.
Non faccio altre domande.
Già, oltre alle oche e alle anatre (mute o parlanti?… non oso chiederlo), ci sono anche le capre.
Tre, non parenti tra
di loro, ma solidali.
Tutte in livrea da camoscio.
E ho visto una pecora, che era nata pecora maschio, ma non è un ariete (…
non sapevo si castrassero le pecore.
E le corna, perché l’ariete le ha e questa pecora non ha neanche quelle? Preferisco
tacere).
Ora guardo gli asini.
Bianco e con gli occhi azzurri Zuccherino mi accoglie sul primo terrazzamento, con un raglio stridente e lungo.
E’
uno stallone, 90 cm al garrese, albino.
Asino dell’Asinara.
Mi sembra piccolissimo, un nanerottolo, in confronto a Pepito.
I suoi occhi azzurri sono delicati e non ci vede bene, la luce gli dà fastidio.
Forse degli occhiali da saldatore o quelle
mascherine utili per vedere le eclissi potrebbero aiutarlo, ma per trovare le asine non ne ha bisogno.
Infatti Mirabella, Lilì,
Gaia e Frida probabilmente sono tutte e quattro gravide.
Piccole anche loro, col mantello che varia tra il bruno e il grigio
sabbia impreziosito dalla croce di sant’Andrea sul dorso e simpatiche ciocche di crini biondi sulla fronte, anziché godersi il
fresco all’ombra, si crogiolano sotto al sole cocente di oggi.
Alcune di loro indossano un collarino con una campanella,
indice di asine autonome, spesso lasciate libere al pascolo nella vastissima tenuta.
Proseguiamo, altri tornanti e un cancelletto: entriamo nell’harem di Pippo! Bell’asinello dal mantello pezzato, di
taglia piccola, col suo carattere gioviale forse non avrebbe problemi a condividere le sue asinelle con Zuccherino, il quale,
invece, col suo caratterino dominante deve essere tenuto separato onde evitare violente zuffe tra stalloni.
Le femmine di
Pippo, anch’esse tutte di piccola taglia, sono: Viola, asinella grigio bruna con insoliti e interessanti zampe anteriori
pomellate ( si, pomellate, non zebrate!), la povera Petra il cui dorso insellato e il ventre prominente lasciano intuire un
difficile passato, la bianca asinella Neve e le due pezzate Cocalà e Mela.
Anch’esse sono probabilmente gravide.
Cinzia
cerca di selezionare asinelli di taglia piccolissima e, vicino a loro, la cavalla Lady, avelignese dalla bionda criniera, sembra
davvero gigante!
Siamo in fondo al pendio, Cinzia chiama Pippo e le sue asine, poi apre un cancello e il piccolo corteo si avvia in
rigoroso ordine: una cavalla (che sa la strada e ci tiene a dimostralo), due donne, cinque asine con un asinello, un cane che
non sta in riga (come tutti i cani Oscar, lupacchiotto di due anni, fa due volte il percorso: avanti e indietro), una capra con le
mammelle piene di latte, un caprettino vivace.
Per strada incontriamo ( e non credo casualmente) una ragazzina di città
migrata stagionalmente in campagna, che si aggrega alla processione verso il pascolo.
Cinzia parla e racconta, le difficoltà e le vittorie, le rinunce e le soddisfazioni, i desideri realizzabili e quelli che sa
resteranno dei sogni.
“Vorrei trasferirmi con i miei animali su un isola, mi mancano il mare, i giri in barca, il sole.
Mi
piacerebbe vivere in Sardegna, in un podere con vista mare.
Qua siamo in montagna ma non c’è cultura contadina, non
trovo nessuno che possa aiutarmi ad accudire i miei animali, che possa sostituirmi per qualche giorno, se ne avessi bisogno,
o se volessi concedermi una breve vacanza”.
So che Cinzia un tempo abitava in una città del Piemonte e lavorava a Milano, un lavoro di computer, carte e
numeri, ben pagato e apprezzato.
Qua ci veniva in vacanza, da ragazzina.
Poi… chissà, non domando come sia successo o
perché.
Non so a quali ricordi, certo belli e importanti, siano riferiti il mare e la barca .
Cinzia parla moltissimo, ma non mi
racconta il suo passato, né io lo voglio conoscere.
Non so come gli asini siano così prepotentemente entrati nella sua vita,
ma intuisco che questo sarà per sempre.
Gli asini pascolano tranquilli, l’imponente cavalla è un po’ più irrequieta, il cane, finalmente, si è sdraiato accanto
a noi e dorme all’ombra; chiamiamo la capra dalle mammelle gonfie e facciamo poppare il caprettino.
Il sole si sta
abbassando e la quiete ci avvolge.
Tra poco me ne andrò.
“Portalo qua, il tuo Pepito, che così non sta da solo”.
DonnaCinzia ha mani da uomo e un cuore di donna.
Non credo che porterò lì Pepito, troppo lontano da me, ma so che io ci tornerò, al Podere i Vecchi Meli, a trovare i
piccoli asinelli e a vedere Cinzia che fa il formaggio, guida il trattore, taglia il fieno.
E so che qualche cosa imparerò.
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